Ho letto “Formicae”, quarto romanzo thriller di Piernicola Silvis, tutto d’un fiato.
Mi è piaciuto molto, non solo perché è un testo ben scritto e appassionante, ma anche perché accompagna il lettore, con grande maestria, in un viaggio di scoperta della psiche del colpevole, raccontandone la storia e descrivendone molto accuratamente sfumature di buio, manie, ossessioni religiose e perversioni.
E’ un thriller anomalo, in cui il nome del “mostro”, colui che rapisce e uccide bambini, viene svelato sin dalle prime pagine. I capitoli infatti si alternano tra la ricerca del colpevole, raccontata in prima persona da Renzo Bruni, poliziotto che coordina la caccia al serial killer, e la storia di Bruno Pastore, l’assassino.
Bruno è un ragazzo apparentemente normale, quieto e taciturno. In realtà dentro di lui convivono lati oscuri: illimitato senso di potere, totale assenza di empatia, delirio di onnipotenza e inesistente coinvolgimento affettivo relazionale, tratti che caratterizzano la personalità narcisistica.
Il delirio di onnipotenza può essere descritto come uno stato patologico in cui il soggetto è convinto di poter esercitare un potere illimitato sul mondo che lo circonda, di saper fare tutto e di poter ottenere qualunque cosa, con qualsiasi mezzo. Il soggetto ha costantemente bisogno di rimarcare la propria superiorità rispetto agli altri.
Il delirio di onnipotenza può insorgere in seguito e a causa di un’infanzia caratterizzata da profondi disagi e frustrazioni, che il soggetto cerca di fronteggiare negando la propria vulnerabilità, assumendo un atteggiamento rabbioso nei confronti degli altri, considerati stupidi, incapaci e inferiori. Nel romanzo Diego presenta proprio queste caratteristiche; è in guerra con il mondo intero, compie crimini efferati senza mostrare alcun senso di colpa e sfida costantemente Bruni, recapitandogli messaggi contenenti indizi che potrebbero essere decisivi per la sua identificazione.
Non a caso, si scopre che Diego è stato cresciuto in un orfanotrofio gestito da suore, una delle quali infligge al bambino un tremenda punizione (restare sdraiato, con il corpo cosparso di briciole di pane, sopra un termitaio). Probabilmente proprio a causa di questo atroce castigo Diego sviluppa la sindrome di Ekbom o delirio dermatozoico, (una patologia caratterizzata dalla convinzione delirante di essere infestati da parassiti): sente infatti il suo corpo invaso dalle formiche che, come lui stesso afferma, gli rosicchiano il cervello.
All’età di sei anni Diego viene adottato e finisce a vivere con un uomo che, grazie ai suoi legami con la malavita locale, tenta di coprire in ogni modo le stranezze del figlio e una madre moralista e nevrotica che impone al bambino rituali religiosi, regole e divieti.
Lo psicologo Stephen Johnson scrive che il narcisista è qualcuno che ha “seppellito la sua vera auto-espressione in risposta alle ferite primitive che ha ricevuto e lo ha sostituito con un sé falso altamente sviluppato e compensativo”.
Il narcisista è spesso immaginato come una persona innamorata di se stessa. È più accurato affermare che il narcisista patologico è qualcuno che è innamorato di un'immagine di sé idealizzata, che viene mostrata per evitare di entrare a contatto e di permettere agli altri di entrare a contatto con il sé reale, ferito. In fondo, il narcisista patologico si sente come il "brutto anatroccolo", anche se non si consente di ammetterlo.
Partendo dall’analisi della cornice familiare e dell’infanzia di Diego, prende spunto la mia riflessione sul legame di attaccamento, ossia la relazione primaria che si sviluppa tra un bambino e il genitore (o figura di accudimento).
Nello specifico, il soggetto che presenta un disturbo narcisistico di personalità può rappresentarsi, a partire dal rapporto con la figura di accudimento primaria, come bisognoso di cure e percepire gli altri come non disponibili a fornirle. In lui matura quindi l’aspettativa di essere respinto. Questa condizione porta il soggetto a convincersi di poter fare a meno dell’amore degli altri e a non ricercare il loro sostegno. Il soggetto narcisista impara che deve affidarsi solo a se stesso: impara quindi a non esprimere i propri bisogni e ad assumere atteggiamenti di distacco e di superiorità.
Se le esperienze infantili hanno fatto emergere sentimenti di vergogna, rabbia, impotenza, il bambino crescerà aspettandosi di essere sfruttato, rifiutato o respinto nelle interazioni con gli altri e dall’ambiente circostante. Quindi, per paura di soffrire ancora, eviterà di entrare in contatto con le proprie emozioni, non esprimerà i propri bisogni e non cercherà la vicinanza emotiva degli altri, convincendosi di dover contare solo su se stesso, sulle proprie capacità e sui propri meriti.
Nelle relazioni con gli altri quindi l’intimità viene rifiutata e svalorizzata, perché percepita come qualcosa di minaccioso. Il narcisista tende quindi a dissociare gli aspetti di sé che percepisce come negativi, perché proprio a causa di questi potrebbe essere ulteriormente rifiutato. Nel contempo tende anche però a compiacere l’altro, assumendo atteggiamenti che lo rendano il più possibile amabile. In una relazione in cui l’altro viene percepito come inaccessibile, il narcisista impara a dare valore unicamente al proprio mondo interno: sviluppa quindi una rappresentazione grandiosa di sé, si aspetta di dover ricevere trattamenti speciali, emette atteggiamenti aggressivi nei confronti di un ambiente che non gratifica le sue aspettative.
Consiglio vivamente la lettura di questo thriller, agli appassionati del genere, a chi fa il mio stesso lavoro, a chi ha semplicemente voglia di leggere un bel romanzo.
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